Marco Travaglio
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Il capo dello Stato ha firmato anche la legge sul legittimo impedimento,
per salvare Berlusconi e i ministri dai processi, anche se è palesemente incostituzionale
Con la promulgazione del "legittimo impedimento" per Berlusconi e i suoi ministri, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha
firmato l’undicesima legge vergogna in quattro anni di mandato. Le
altre dieci erano: l’indulto extralarge esteso ai reati dei colletti
bianchi, il decreto Mastella per distruggere i dossier della security Telecom, l’ordinamento giudiziario Mastella-Castelli, la legge salva-Pollari, il lodo Alfano, la norma della penultima finanziaria che raddoppia l’Iva a Sky,
i due pacchetti sicurezza Maroni contenenti norme razziali anti-rom e
anti-immigrati, lo scudo fiscale Tremonti, il decreto salva-liste del Pdl.
Resta da capire il perché di quel mese di melina, che aveva suscitato
speranze nelle persone perbene e timori nel partito dell’impunità:
semplicemente, dopo tanto firmare, il Presidente aveva finito
l’inchiostro, o aveva inceppato la penna, o magari aspettava il dopo
elezioni per dare un colpo al cerchio e uno alla botte: respinto il ddl
sul Welfare (che estende l’arbitrato ai rapporti di lavoro), promulgato
il legittimo impedimento. Tanto Berlusconi non deve licenziare nessuno
e del ddl se ne strafrega, mentre col legittimo impedimento potrà
fuggire legalmente dai suoi processi, e come lui i suoi ministri, per
18 mesi, in attesa di bissare il lodo Alfano con legge costituzionale o
di ripristinare l’autorizzazione a procedere, cioè l’impunità per tutti
i parlamentari. Dunque Napolitano nega la sua firma a una legge che non
giudica incostituzionale, ma che semplicemente non condivide (il ddl
sul lavoro) e appone la sua firma su una legge incostituzionale, come
ha già sancito la Consulta in due sentenze del 2001 e del 2008. La
prima, a proposito degli impedimenti parlamentari accampati da Previti nei
processi "toghe sporche", stabilì che "l’esigenza di celebrare i
processi in tempi ragionevoli e quella di assicurare un corretto
assolvimento dei compiti istituzionali hanno pari rango costituzionale"
e spetta al giudice, non certo all’imputato, assicurare un giusto
bilanciamento fra le due istanze. La seconda, bocciando il lodo Alfano,
definiva "irragionevole e sproporzionata" la "presunzione legale
assoluta di legittimo impedimento" dovuta esclusivamente dalla carica
ricoperta: gli impedimenti valgono "solo per lo stretto necessario",
"senza meccanismi automatici e generali", tantopiù che la deroga al
principio d’eguaglianza era imposta con legge ordinaria. Inoltre, in
barba al precetto costituzionale che vuole i giudici "soggetti soltanto
alla legge", il legittimo impedimento li assoggetta alle circolari di
un funzionario di Palazzo Chigi che comunicherà insindacabilmente ai
tribunali, di sei mesi in sei mesi, l’impossibilità del premier e dei
ministri a comparire in udienza. Visto che è tutto molto chiaro,
sarebbe ora di smetterla con le ipocrisie e di chiamare le leggi
vergogna col doppio cognome: "Berlusconi-Napolitano".
E di fare in modo che le proteste non vengano soltanto dai dipietristi
e dall’estrema sinistra. Ma da tutti gli italiani che hanno a cuore la
Costituzione.