Vi
proponiamo la traduzione dell’analisi del Social Science Research
Council in merito allo studio di Tera commissionato da BASCAP. L’SSRC,
una delle più accreditate istituzioni mondiali indipendenti nel settore
delle scienze sociali, mostra perché lo studio di Tera, sulla base del
quale Confindustria critica l’auspicio del Ministro Maroni in merito al
file sharing, è inaffidabile.

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Pirateria e posti di lavoro in Europa: perché l’approccio di BASCAP/TERA è sbagliato.

Il Social Science Research Council
sta attualmente completando uno studio triennale su 7 paesi in merito
alla pirateria di software, film e musica. Una parte di questo lavoro
esamina i metodi per la stima delle perdite per gli stakeholder e le
economie nazionali. In anticipo alla pubblicazione di questo rapporto,
e in risposta alle richieste di numerosi gruppi europei che si occupano
di diritti digitali, questa nota offre una breve osservazione sul
recente studio BASCAP/TERA, “Economia digitale: l’importanza di salvare
i lavori nelle industrie creative dell’Unione Europea”.

Lo studio di TERA adatta una metodologia sviluppata da Stephen Siwek
in una serie di pubblicazioni commissionate dai gruppi industriali
americani (MPA, RIAA e ESA). Lo scopo di questi studi è di espandere il
dibattito sulla pirateria dalle perdite per industrie specifiche alle
perdite per le economie nazionali, inclusi specialmente i lavori persi.
L’approccio di TERA è relativamente semplice: calcola le perdite
dell’industria prendendo il numero totale di “infrazioni” riportate dai
gruppi industriali, lo moltiplica per un “tasso di sostituzione” che
riflette l’impatto frazionario di un bene piratato rispetto alle
vendite, e poi lo moltiplica ulteriormente per il prezzo medio di
vendita del bene.

Lo studio di TERA dichiara perdite totali per pirateria di musica,
film, televisione e software nell’Unione Europea nel 2008 intorno ai 10
miliardi di euro. Poi divide questo numero di perdita per i salari medi
del settore creativo al fine di ottenere le perdite dirette dei posti
lavorativi. Infine raddoppia quel numero per calcolare le
perdite di lavoro ‘indirette’ nelle varie industrie di supporto, e
mappa questi numeri sulle stime dei tassi di crescita annuale prevista
dell’uso di Internet. In base a questo approccio, lo studio di TERA
predice una perdita cumulativa fra i 611.000 e 1.217.000 posti di
lavoro in Europa fra il 2008 e il 2015 a causa della pirateria.

Molte delle assunzioni specifiche e la fonte dei dati meritano uno scrutinio più ravvicinato.

Numerosi gruppi industriali, in particolare IFPI (l’associazione
dell’industria dei dischi di Londra) e l’ESA (la Entertainment Software
Alliance) si sono astenute dal pubblicare stime delle perdite
industriali a causa delle ovvie difficoltà di misura. Ma, secondo il
nostro punto di vista, il problema più grande con lo studio di TERA
consiste nel fatto che esso commette due errori basilari in merito alle
economie nazionali e al commercio internazionale.

1. La pirateria interna può certo imporre perdite a specifici
settori industriali, ma queste non sono perdite per la più ampia
economia nazionale. All’interno di un dato paese, la pirateria è una riallocazione
di reddito, non una perdita. Il denaro risparmiato su CD o DVD viene
speso in altre cose -alloggi, cibo, altro intrattenimento, ecc. Ciò
solleva una questione legittima (ed analiticamente molto complessa) in
merito a se queste alternative rappresentino utilizzi più o meno
produttivi del denaro in confronto agli introiti addizionali delle
industrie colpite (Sanchez 2008). Non c’è stata, al meglio della nostra
conoscenza, nessuna analisi seria sul problema. Tuttavia è decisamente
possibile che questi usi alternativi siano più produttivi e più
socialmente di valore rispetto ad investimenti aggiuntivi nei beni di
intrattenimento.

2. I numeri sulle perdite di posti di lavoro di TERA assumono che le
perdite da pirateria ricadano solo sulle compagnie europee. Per film,
musica e software, tuttavia, questo è manifestamente errato. Gli
studios di Hollywood controllano l’80% del mercato dei film nell’Unione
Europea. Microsoft e molte altre compagnie americane di software hanno
una quota di mercato ancora più alta nelle categorie chiave del
software di produttività. L’impronta globale di molte di queste
compagnie rende la suddivisione dei flussi di reddito difficile, ma la
dinamica sovrastante è semplice: per le importazioni di proprietà
intellettuale, le vendite legali rappresentano un flusso in uscita per
l’economia nazionale. La pirateria della proprietà intellettuale
importata, per contrasto, rappresenta un guadagno di benessere nella
forma di accesso espanso a beni di valore. Nei film e nel software, i
paesi europei sono principalmente importatori di proprietà
intellettuale. Nel caso più complicato della musica, uno studio molto
credibile sponsorizzato dal governo olandese ha stimato che l’impatto
benefico della pirateria musicale in Olanda abbia un netto positivo di
100 milioni di euro (Huygen et al., 2009).

Lo studio di TERA seppellisce questi punti nell’ultimo paragrafo
della sua appendice finale: “Per risultare pienamente consistenti,
avremmo dovuto considerare i prodotti pirata nella proporzione
locale/estero (per tutti i prodotti creativi considerati), ma questi
dati non erano disponibili”.

Secondo il nostro punto di vista, questa omissione inquina
completamente l’analisi. Tutto considerato, è molto probabile che i
paesi europei ricavino un forte beneficio dalla pirateria audio, video
e software.

La ricerca di SSRC sulla pirateria si è occupata in maniera vitale
del compito di promuovere una ricca e diversificata produzione
culturale nell’era digitale. Non sottovalutiamo le sfide che la
pirateria -e la transizione digitale più in generale- pongono ad alcuni
modelli di business esistenti. Tuttavia non riteniamo che questi scopi
possano essere perseguiti rappresentando erroneamente l’impatto della
pirateria. Né pensiamo che evidenziare ciò sia a favore della pirateria
o contro l’industria. Piuttosto, i nostri risultati ci allineano con
quello che vediamo essere un consenso emergente nell’industria, ben
illustrato da Robert Bauer, ex Direttore dei Progetti Speciali per gli
Affari di Governance Globale alla MPA: “Il nostro lavoro è di isolare
le forme di pirateria che sono in competizione con le vendite legali,
considerarle come un sostituto di una domanda non soddisfatta dei
consumatori, e quindi trovare un modo per andare incontro a quella
domanda”. (Intervista, 2009).

Il nostro più ampio lavoro suggerisce che le industrie creative che
prospereranno nell’era digitale saranno quelle che risponderanno a tale
sfida.

Joe Karaganis,
Program Director, SSRC

Rif.:
Huygen, Annelies et al. 2009. Ups and downs Economic and cultural
effects of file sharing on music, film and games. TNO Information and
Communication Technology.

Sanchez, Julian. 2008. “750,000 Lost Jobs? The Dodgy Digits Behind the War on Piracy.” Ars Technica.

 

 fonte: blog.tntvillage.scambioetico.org